
“Grisha Bruskin An Archaeologist’s Collection” Evento collaterale Biennale Arte 2015.
La 56° Biennale di Venezia – secondo le dichiarazioni del direttore Enwezor – torna a confrontarsi decisamente con le macerie della storia degli ultimi secoli, con il cambiamento incessante delle ideologie; a misurare, attraverso i linguaggi dell’arte che lo rappresentano, la profonda inquietudine di un tempo che accumula e distrugge. “La collezione di un archeologo”, il progetto dell’artista russo Grisha Bruskin ospitato nell’ex- chiesa di Santa Caterina si inscrive in modo molto pertinente in questo scenario. Le origini di questa complessa installazione vanno rintracciate nel vasto dipinto che ha imposto Bruskin all’attenzione di pubblico e critica anche al di fuori del suo Paese: si tratta di “Lessico fondamentale” (“Fundamental’nyj leksikon”, 1986), l’archiviazione visiva di oltre 250 normotipi dell’umanità sovietica. Quello che allora poteva apparire come l’affresco di un’antropologia immutabile si è rivelato, appena pochi anni dopo, l’analitica testimonianza di un impero improvvisamente scomparso, di un sistema collassato e imploso. Da questa sua sconfinata rubrica di “personaggi” Bruskin dopo il crollo dell’URSS (1991) ha ricavato una serie di statue, quasi a grandezza naturale. Le ha poi frantumate, ha fuso in bronzo i frammenti che ha ritenuto più rilevanti, li ha interrati nella campagna toscana, accanto a una necropoli etrusca, e dopo tre anni ha organizzato una vera e propria campagna di scavo archeologico (con apposite rilevazioni sull’ossidazione dei reperti) per riportarli alla luce. È quanto osserveremo nella mostra veneziana. Un sito archeologico perfettamente ordinato, in cui rintracciare l’ordine apparente del potere e il concreto disordine della storia.
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